Ci troviamo spesso davanti al difficile compito di spiegare cosa sia una lezione di Consapevolezza Attraverso il Movimento.
In questo articolo, riporto un estratto da un capitolo dedicato a Feldenkrais del libro dello psichiatra psicanalista e scrittore Norman Doidge, “Le guarigioni del cervello”
“… Inizialmente Feldenkrais insegnava i suoi principi come nel judo, in lezioni di gruppo. I partecipanti avevano vari disturbi – dolori al collo, emicrania, sciatica, ernia del disco, capsulite adesiva o «spalla congelata», zoppia postoperatoria.
Feldenkrais li faceva sdraiare sui materassini da judo. Gli ampi muscoli antigravitari (gli estensori della schiena e i muscoli della coscia) si rilassavano, e tutte le abitudini motorie innescate dal tentativo di «contrastare» la gravità per mantenere la postura eretta venivano eliminate. Gli allievi dovevano esaminare il proprio corpo attentamente, in modo da diventare consapevoli di come si sentissero, e notare quali parti del corpo erano in contatto con il materassino.
Spesso Feldenkrais diceva loro di fare attenzione al modo in cui respiravano. In molti casi le persone, nel momento in cui incontrano una difficoltà motoria, trattengono il respiro. Feldenkrais chiedeva ai partecipanti di esplorare un piccolo movimento su un lato del corpo per quasi tutta la durata della lezione, avvertendo le sottili differenze nel modo in cui veniva eseguito. A questo punto entrava in gioco la sua conoscenza dell’ipnosi e di Émile Coué; mentre parlava, forniva suggestioni quasi-ipnotiche per incoraggiare gli allievi a compiere il movimento con il minimo sforzo, in modo che risultasse il più leggero possibile. Solitamente sceglieva movimenti essenziali nelle prime fasi dello sviluppo, come sollevare la testa, rotolare, gattonare o cercare modi semplici per mettersi seduti. «Come insegnante posso accelerare il vostro apprendimento» scrisse «presentando l’esperienza nelle condizioni in cui il cervello umano imparava nelle prime fasi della vita».Feldenkrais poteva chiedere agli allievi di girare lentamente la testa anche per quindici minuti, di notare cosa sentivano e fino a che punto riuscivano a girarla. Quindi chiedeva loro di limitarsi a immaginare la testa che girava, e di notare cosa sentivano in tutto il corpo. Spesso i muscoli si contraevano, semplicemente pensando di eseguire il movimento. A quel punto accadeva qualcosa di strano. Verso il termine della lezione, Feldenkrais chiedeva agli allievi di chiudere gli occhi e di riesaminare il proprio corpo. Di solito il lato su cui avevano lavorato era più vicino al materassino e dava la sensazione di essere più ampio e lungo. L’immagine corporea era cambiata, e gli allievi riuscivano a girare la testa molto di più. I loro muscoli tesi si rilassavano. Nel poco tempo rimanente, passavano a lavorare sull’altra parte del corpo e scoprivano che molti dei risultati già ottenuti si trasferivano rapidamente anche su quel lato.
Feldenkrais dedicava quasi tutta la lezione a concentrarsi sul lato del corpo meno irrigidito, scoprendo modi ancora più efficaci per eseguire i movimenti. Quindi gli allievi si rendevano conto che tale consapevolezza si trasferiva spontaneamente al lato più teso e affaticato. Talvolta Feldenkrais diceva che le parti del corpo interessate da qualche problema non imparavano da lui, ma dal lato del corpo che era in grado di muoversi senza stress. Se nel corso di una lezione un allievo si rendeva conto di un ostacolo nell’esecuzione di un movimento, era solo per individuarlo, non per giudicarlo negativamente. Lo scopo non era superare l’ostacolo o «correggere» un errore. Al contrario, l’allievo avrebbe dovuto esplorare nuove modalità motorie, per capire quale fosse la migliore, ossia la più efficiente e fluida. «Non si tratta di eliminare l’errore» diceva Feldenkrais. «Si tratta di imparare».Pensare in termini di errore e giudizio negativo pone la mente e il corpo in uno stato di tensione che non favorisce l’apprendimento. L’allievo doveva esplorare e imparare nuovi modi per muoversi, e nel corso di questo processo sviluppare e riorganizzare, non «riparare», il sistema nervoso e il cervello. Le lezioni erano estremamente rilassanti; quando i partecipanti si rialzavano sentivano molto meno dolore e notavano una libertà di movimento assai maggiore. …”